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Cancro: cosa viene indicato con questo termine?

anatomia del colonL’unità fondamentale di ogni organismo vivente sono le cellule, tutte le forme di cancro si sviluppano a partire da queste. Esistono nel nostro organismo diversi tipi di cellule che in normali condizioni, in modo ordinato, si accrescono e si dividono parallelamente altre cellule muoiono per essere sostituite da quelle nuove. Tutto questo per garantire le funzioni vitali. Può succedere che questo processo regolato, si trasformi in proliferazione incontrollata, dando luogo alla formazione di una massa di tessuto aggiuntivo chiamato tumore. I tumori possono essere benigni o maligni. I tumori benigni non sono formati da cellule cancerose. Di solito vengono asportati e nella maggior parte dei casi non danno luogo a recidive. Cosa molto importante, le cellule dei tumori benigni non invadono i tessuti circostanti e non si diffondono ad altre parti dell’organismo. I tumori benigni non mettono in pericolo la vita dei pazienti. I tumori maligni sono formati da cellule cancerose in grado di invadere e danneggiare i tessuti e gli organi circostanti. Inoltre, le cellule maligne possono migrare dal tumore originale e infiltrarsi nel circolo ematico o nel sistema linfatico (i tessuti e gli organi che producono e ospitano i globuli bianchi che combattono le infezioni ed altre malattie). Il fenomeno di diffusione del cancro dal sito originario (tumore primario) ad altri organi (con formazione di tumori detti secondari) viene chiamato metastasi.

 

Dov’è il colon e qual è la sua funzione?
Cenni di fisiologia ed anatomia

Il colon e il retto sono le porzioni più distali dell’apparato digerente, deputate alla estrazione dell’acqua ed alla eliminazione del materiale fecale eliminati dall’organismo. Insieme, il colon e il retto costituiscono un lungo tubo muscolare chiamato intestino crasso, di cui il colon rappresenta i primi 1,5-2 metri e il retto gli ultimi 25 cm. Vedi illustrazione 1. Il segno rosso indica il segmento di grosso intestino più colpito dal cancro.

 

Quali sono i fattori di rischio del cancro del colon e del retto?
Cenni di epidemiologia

I possibili fattori di rischio sono: Età: il carcinoma colorettale è più comunemente diffusao tra uomini e donne di età superiore ai 50 anni. Nonostante ciò, il cancro del colon-retto può interessare persone più giovani e, in rari casi, persino gli adolescenti. Abitudini alimentari: Le ipotesi riguardo i meccanismi con cui la dieta potrebbe influenzare lo sviluppo della neoplasia sono diversi:

– Il grasso alimentare può avere una azione diretta aumentando il turnover epiteliale, oppure può agire indirettamente attraverso il suo metabolismo ad acidi biliari nel fegato. Gli acidi biliari vengono quindi escreti e convertiti in promotori tumorali dai batteri presenti nel lume intestinale.

– Le fibre alimentari avrebbero la capacità di legare ed amalgamare i grassi e gli acidi biliari o inibire la loro attività promotrice con una azione di diluizione. Inoltre la loro fermentazione batterica ad acidi grassi a breve catena può contribuire alla acidificazione delle feci che sembra avere un ruolo protettivo, forse riducendo la idrossilazione batterica degli stessi acidi grassi.

Fattori genetici: è possibile identificare molte sindromi ereditarie associate alla presenza di polipi adenomatosi e ad alto rischio di sviluppare neoplasie del grosso intestino. La poliposi familiare adenomatosa è una malattia ereditaria trasmessa con un meccanismo autosomico dominante caratterizzata dalla presenza di centinaia o migliaia di polipi adenomatosi in cui, in assenza del trattamento, lo sviluppo del carcinoma è la regola (100%) ed avviene in età giovanile adulta, alcuni anni dopo la comparsa dei polipi. Nella sindrome di Lynch (HNPCC, cancro colorettale ereditario senza poliposi) il processo neoplastico interessa, oltre il colon-retto, anche lo stomaco, l’ovaio, la mammella. Una suscettibilità ereditaria, e non una vera e propria sindrome come le precedenti, sarebbe responsabile dello sviluppo del carcinoma nei soggetti che presentano una storia familiare della malattia.

Polipi neoplastici: la trasformazione maligna è più frequente negli adenomi villosi (35-40%) e tubulo-villosi (16-22%) rispetto ai tubulari (1-4%), e nelle lesioni multiple ed in quelle con maggiori dimensioni (oltre i 2.5 cm).

Malattie infiammatorie intestinali: la storia naturale della colite ulcerosa, può essere contrassegnata dallo sviluppo di un carcinoma del colon-retto, a sua volta condizionato dalla durata e dall’estensione della malattia. Il rischio è circa 20 volte superiore a quello della popolazione generale per i pazienti con una malattia datante da più di 10 anni. Rilievi analoghi, ma a livelli estremamente più bassi, sono stati riscontrati anche nel morbo di Crohn.

Il carcinoma del colon retto rappresenta una delle più frequenti cause di morte per neoplasia nei paesi occidentali. La sua incidenza è in aumento in tutto il mondo ed in Europa vengono diagnosticati ogni anno 200.000 casi. Tale neoplasia è rara prima dei 40 anni, presentandosi più frequentemente intorno ai 60 anni. L’incidenza nei due sessi non mostra differenze per quanto riguarda la localizzazione colica, mentre a livello rettale sembra essere leggermente più frequente nel sesso maschile. Le sedi più colpite sono il retto (50% dei casi) ed il sigma (20% dei casi), il colon ascendente ed il trasverso con la flessura splenica sono interessati rispettivamente nel 16% e nell’8% dei casi. Il 70% dei pazienti si presenta alla diagnosi con malattia chirurgicamente aggredibile, il 30% con malattia metastatica; il 25% dei pazienti operati radicalmente presenterà una ripresa di malattia dopo un tempo variabile. La presenza di uno o più dei suddetti fattori di rischio non determina automaticamente lo sviluppo di un carcinoma colorettale, ma ne aumenta le possibilità. Se desiderate parlare con il medico di questi fattori di rischio, potrete ottenere consigli su come ridurre le probabilità di contrarre la malattia e pianificare insieme un programma di visite di controllo .

Stadiazione e prognosi del cancro del colon e del retto
Sono molti i sistemi proposti per la stazione dei tumori del colon-retto, e tra questi il più usato è stato quello introdotto da Dukes nel 1932 modificato circa 20 anni dopo da Astler e Coller (Tabella 1). Attualmente si utilizzano più comunemente la classificazione TNM (Tabella 2) e le classificazioni associate AJCC (American Joint Commettee on cancer) e UICC (Union Internationale contre le Cancer) (Tabella 3) per avere una stadiazione separata e parallela sia del tumore primitivo, sia del coinvolgimento linfonodale, che delle metastasi a distanza. Lo Lo stadio iniziale della malattia è il più importante fattore predittivo della sopravvivenza che risulta essere, a 5 anni, dell’85-90% per i pazienti in stadio A di Dukes e di circa il 60% per quelli in stadio B; tale sopravvivenza si riduce ulteriormente ad un valore del 40% in caso di coinvolgimento linfonodale ed è inferiore al 5% in caso di metastasi a distanza. Dopo asportazione chirurgica radicale, la sopravvivenza globale a 5 anni varia dal 55% al 75%, mentre dopo la resezione chirurgica presuntivamente curativa per metastasi epatiche o polmonari, è del 25-30%. Altri criteri prognostici maggiori possono essere suddivisi schematicamente in criteri clinici, istopatologici e biologici.

 

È importante la diagnosi precoce?

Si la diagnosi precoce è importante, ed è orientata inizialmente a discriminare nei fattori di rischio elencati nel paragrafo “Quali sono i fattori di rischio del cancro del colon e del retto? Cenni di epidemiologia”. Coloro che presentano almeno uno dei fattori di rischio descritti dovrebbero chiedere al medico quando iniziare una serie di visite di controllo, a quali test sottoporsi e con quale frequenza, per seguire un programma di screening del cancro del colon-retto. Il medico potrà consigliare uno o più test fra quelli sottoelencati, che hanno lo scopo di individuare polipi, neoplasie o altre anomalie, persino in soggetti asintomatici. Il vostro medico di fiducia sarà in grado di fornire maggiori dettagli su ogni test. Il test per verificare la presenza di sangue occulto nelle feci (Haemocult) viene effettuato in quanto alcuni tipi di tumore o polipo possono talvolta sanguinare. Questo test è in grado di rivelare tracce di sangue anche minime. La sigmoidoscopia è un esame del retto e del tratto inferiore del colon (colon sigmoide) effettuato tramite uno strumento dotato di apparato illuminante chiamato sigmoidoscopio. La coloscopia è un esame del retto e dell’intero colon effettuato tramite uno strumento dotato di apparato illuminante chiamato colonscopio. Il clisma con bario a doppio contrasto è un esame che prevede una serie di radiografie del colon e del retto. Il paziente è sottoposto a clistere contenente una miscela di bario che evidenzierà il colon e il retto nella radiografia. L’esame digitale rettale è un esame in cui il medico, dopo aver indossato un guanto lubrificato, introduce nel retto un dito per tastare la presenza di anomalie. Riconoscere i sintomi I più comuni sintomi del cancro colorettale comprendono: Alterazione delle abitudini intestinali; comparsa di diarrea, costipazione, la loro alternanza o la sensazione che l’intestino non si vuoti completamente; presenza di sangue (di colore rosso brillante o molto scuro) nelle feci; modificazioni di dimensioni del cilindro fecale inferiore al normale; la sensazione di malessere generale all’addome (frequente e dolorosa emissione di gas, gonfiore, sensazione di pienezza e/o contrazioni); perdita di peso senza nessun motivo valido; la sensazione di un costante senso di affaticamento; vomito Questi sintomi possono essere causati sia dalla presenza di un carcinoma colorettale che da altre condizioni patologiche, quindi sarà importante consultare il medico per i dovuti accertamenti.

Come viene formulata la diagnosi di carcinoma colorettale?

Il medico raccoglierà la vostra anamnesi per risalire alle cause dei sintomi. Eseguirà inoltre un esame fisico e potrà prescrivere uno o più test diagnostici:

Radiografia dell’intestino crasso, ad esempio un clisma con bario a doppio contrasto.

Sigmoidoscopia, tramite la quale il medico esamina il rivestimento interno del retto e il tratto inferiore del colon ed effettua l’asportazione di polipi o di campioni di tessuto anomalo per il successivo esame microscopico.

Coloscopia, al fine di esaminare il rivestimento interno del retto e l’intero colon ed asportare polipi o campioni di tessuto anomalo per il successivo esame microscopico.

Polipectomia, cioè la rimozione di un polipo durante la sigmoidoscopia o la coloscopia.

Durante l’esecuzione di questi ultimi tre esami diagnostici può essere eseguita una o più biopsie, cioè l’asportazione di un campione di tessuto che un patologo esaminerà successivamente al microscopio allo scopo di formulare una diagnosi.

 

Quali sono gli esami diagnostici che vengono eseguiti per stadiare il paziente affetto da carcinoma colorettale prima dell’intervento?

La radiografia del torace solitamente è una delle prime indagini che vengono eseguite ha importanza sia per lo studio preoperatorio sia come stadiazione in quanto se dovesse risultare sospetto verrebbe associato il pacchetto toracico durante l’esecuzione della angioTC addome e pelvi. Lo studio viene eseguito con tecniche di imaging. La angioTC dell’addome e della pelvi, potrà fornire informazioni sia sulla localizzazione ed estensione locale del tumore, i suoi rapporti con gli organi circostanti, con eventuali sospetti di infiltrazione o compressione, sia con lo studio dei linfonodi. lo studio permetterà inoltre di evidenziare eventuali ripetizioni a distanza (metastasi prevalentemente epatiche). L’esame fornirà informazioni su eventuali anomalie anatomiche (p.es. anomalie della vascolarizzazione) patologie associate la cui conoscenza potrebbe essere importante nel coro dell’intervento chirurgico. Anche la TC del cranio potrebbe rendersi utile. Verranno eseguiti i marker tumorali, utili, se positivi prima dell’intervento, nella monitorizzazione della malattia durante il follow-up. Qualora viceversa venisse a verificarsi una complicanza per la quale il paziente dovesse essere sottoposto a intervento chirurgico d’urgenza, tutto questo verrebbe eseguito con tempistiche diverse.

 

Criteri prognostici clinici
Età: La prognosi è peggiore nei soggetti giovani al di sotto dei 30 anni, perché di solito la diagnosi è tardiva, e si ha spesso la presenza di un adenocarcinoma mucoide ad alto grado (53% nei soggetti giovani, contro il 20% negli anziani), con frequenti metastasi linfonodali.

Sesso: le donne hanno una prognosi migliore in termini di sopravvivenza.

Sintomatologia: la mortalità a 5 anni dei soggetti sintomatici è del 49% contro il 79% di quelli asintomatici, specie quando i sintomi hanno una durata di almeno 6 mesi.

Sanguinamenti rettali: pur potendo mettere in pericolo la vita del paziente, se massivi, possono comunque migliorare la prognosi perché consentono di effettuare una diagnosi precoce.

Ostruzioni e perforazioni: sono delle complicazioni che spesso portano all’exitus del paziente.

Sede: rispetto alle altre localizzazioni, il carcinoma del retto e del retto-sigma presentano una prognosi peggiore.

 

Criteri prognostici istopatologici
Aspetto macroscopico: La forma vegetante ha una prognosi migliore rispetto a quella infiltrante.

Grado ed istotipo: In base alle caratteristiche istologiche, si possono distinguere diversi gradi di differenziazione e varietà tumorali. L’istotipo mucinoso e/o la neoplasia ad alto grado di malignità sono fattori prognostici negativi. Ploidia: il contenuto in DNA delle cellule tumorali è un fattore prognostico indipendente ai fini della sopravvivenza. Invasione dei vasi linfatici e dei sanguigni venosi: rappresenta un fattore prognostico negativo indipendente per la sopravvivenza. L’invasione dei vasi linfatici è più frequente negli stadi avanzati di malattia ed il coinvolgimento dei vasi venosi può essere intramurale, cioè dentro la parete intestinale, o extramurale, cioè nel grasso pericolico o nell’avventizia. Invasione perineurale: la sua presenza (incidenza del 14%-32%), è correlata a maggiore frequenza di recidiva locale ed ad una riduzione della sopravvivenza a 5 anni (7% vs il 35% dei negativi). Risposta immune al tumore primitivo: la mancanza della risposta infiammatoria intorno al tumore primitivo può diminuire la sopravvivenza (46 contro l’89% a 5 anni). Altro fattore negativo è l’aumento di eosinofili ai margini del tumore, mentre l’infiltrazione linfocitaria rappresenta un fattore prognostico positivo. Sembra essere correlata ad una migliore prognosi, inoltre, una risposta immune nei linfonodi regionali.

Criteri prognostici biologici
Antigene carcino-embrionario: tale antigene è spesso elevato nei pazienti con neoplasia retto-colica avanzata; è un fattore prognostico importante, ma non è utile nello screening, né nella diagnosi. Alcuni autori sostengono che un valore di CEA maggiore a 5 ng/ml prima dell’intervento chirurgico sia indice di maggior rischio di recidiva, mentre altri non concordano con tale affermazione. Dopo un trattamento adeguato, il CEA si abbassa notevolmente ed un suo nuovo aumento, registrato nel follow up dei pazienti operati, è indice di ripresa di malattia. CA 19-9: si è rivelato essere un marker abbastanza specifico. Oncogeni: il c-myc è un oncogene espresso soprattutto da adenocarcinomi mucinosi ed ad alto grado a prognosi spesso negativa, così come l’oncogene ras, associato generalmente ad interessamento linfonodale. Gli oncogeni h-ras e ki-ras invece, sono espressioni indipendenti da grado, stadio e ploidia. Di tutt’altra natura sono i geni multi drug resistance 1 (MDR 1) e catepsina B, mutati in genere in tumori meno aggressivi. Oncosoppressori: il gene APC è associato a sindromi ereditarie e simultaneamente coinvolto in neoplasie sporadiche. Benché sia ritenuto responsabile della poliposi colica familiare, mutazioni somatiche di tale gene rappresentano il primo evento nella storia naturale del carcinoma sporadico del colon. Tale gene è localizzato sul cromosoma 5 (5q21) e codifica per una proteina citoplasmatica che riveste un ruolo chiave nella regolazione della apoptosi, del ciclo cellulare, della interazione ed adesione intercellulare, dei processi di migrazione nonché di metastatizzazione. Attualmente, comunque la funzione meglio conosciuta è quella di regolazione della beta-catenina. Nel 50% degli adenomi sporadici del colon e nell’80% dei carcinomi l’APC è inattivato ed incapace di regolare la beta-catenina che si accumula nel nucleo e forma complessi con fattori di trascrizione fungendo da co-attivatore di geni attivatori di crescita e proliferazione cellulare (c-myc, ciclica D1), nonché di proteasi extracellulari (MMP7), che facilitano i processi di invasione e metastasi. Alterazioni strutturali del gene oncosoppressore p53 che è localizzato sul cromosoma 17 ed ha funzione di attivatore della trascrizione, modulatore del processo apoptotico, partecipa ai meccanismi di riparo del Dna e controllo dei processi angiogenetici mediante regolazione dei fattori di crescita vascolari (VEGF) si riscontrano nel carcinoma del colon-retto con una frequenza che oscilla tra il 40 ed il 60%. La perdita di tale gene potrebbe accelerare la progressione tumorale attraverso la promozione di una instabilità genetica, che inoltre può determinare anche una condizione di chemioresistenza, attraverso l’amplificazione dei geni che intervengono nella resistenza farmacologica (gene TS, DHF-Reduttasi, Gene MDR1). Delezioni alleliche: i pazienti i con tumori che mostrano delezioni alleliche ai cromosomi 17 e 18, hanno una maggiore percentuale di recidive ed una ridotta sopravvivenza, in una recente pubblicazione dell’ASCO, analisi effettuate su campioni di tessuto confermano che i pazienti con alta frequenza di instabilità microsatellitare (MSI-H) hanno una maggiore sopravvivenza rispetto ai pazienti con tumori con stabilità microsatellitare (MSS). Tuttavia questo vantaggio viene perduto in presenza della chemioterapia. La terapia adiuvante sembra avere un effetto benefico in pazienti con tumori MSS mentre nei pazienti con MSI-H determina un peggiore risultato. Tuttavia lo studio di Barratt e altri dimostra che la ritenzione di eterozigosi ad uno o più microsatelliti entro il gene della p53 sul 17p o sul 18q comporta un notevole beneficio nella terapia adiuvante con fluorouracile. Marcatori di crescita vascolare e di proliferazione tumorale: La presenza di marcatori molecolari o biologici di crescita vascolare potrebbe essere rilevante per il rischio di metastasi. Cascinu ed altri hanno recentemente valutato l’espressione di fattori di crescita endoteliale (VEGF) e la frazione di cellule in fase S in pazienti con linfonodi positivi con o senza recidive dopo chemioterapia adiuvante. La maggioranza dei pazienti senza recidiva di malattia (69 su un totale di 94) aveva tumori con bassa frazione di cellule in fase S e bassa espressione di fattori di crescita endoteliale. Dei pazienti con ricadute precoci di malattia, tutti tranne uno avevano entrambe i fattori elevati mentre i pazienti con ricadute più tardive avevano una alta espressione o di fattori di crescita endoteliali o delle cellule in fase S. Tali dati sono sufficienti per indicare il significato prognostico di questi fattori nei pazienti in stadio III di malattia, fattori che inoltre possono guidare nella scelta del tipo di trattamento. Altro fattore importante è l’espressione della Timidalato Sintetasi (TS): in uno studio su alcuni pazienti che hanno ricevuto terapia adiuvante con fluorouracile, la maggioranza dei pazienti con recidiva erano TS positivi, mentre tra quelli senza malattia il 67% erano TS negativi. I pazienti inoltre con overexpression di TS godrebbero di un migliore beneficio se trattati con farmaci aventi un meccanismo diverso dal 5FU. Terapia L’andamento delle curve di incidenza e mortalità dell’ultima decade testimoniano il successo della diagnosi precoce e l’efficacia delle terapie attuate.

Esiste pieno accordo nel riconoscere la chirurgia come unico trattamento con possibilità di guarigione, alla quale possono essere utilmente associate la radioterapia e la chemioterapia. Chirurgia Il miglioramento delle tecniche diagnostiche che chirurgiche negli ultimi 40 anni ha determinato un miglioramento della prognosi. Generalmente il 70% dei pazienti viene sottoposto ad interventi chirurgici apparentemente radicali a scopo curativo; invece nel restante 30% dei casi, già in fase avanzata di malattia al momento della diagnosi, viene eseguita una chirurgia a scopo palliativo. Nei pazienti operati in maniera apparentemente radicale, il rischio di recidiva varia con lo stadio patologico del tumore primitivo: ad esempio in uno stadio iniziale di malattia T3 N0 M0 vi sono recidive nel 30% dei casi, con uno stadio T3N1M0 invece, nel 50%. La chirurgia può essere inoltre utile, e talora indispensabile, nella malattia avanzata, per prevenire complicanze, come occlusioni, sanguinamenti o perforazioni, oppure per asportare recidive locoregionali o metastasi a distanza (al fegato, polmone, ecc.), talora con intento curativo. Negli ultimi anni si è aggiunta la possibilità di trattare questo tipo di patologia con la chirurga miniinvasiva laparoscopica. se in termini di risultati come mortalità e morbilità postoperatoria i risultati sono sovrapponibili quindi facendo preferire la tecnica laparoscopica per riduzione del dolore post operatorio, ripresa più rapida della alimentazione e riduzione della degenza post operatoria, i risultati in termini di risultati a distanza sembrerebbero anch’essi sovrapponili.

Radioterapia
Negli adenocarcinomi del retto, nei quali è più frequente la recidiva locale, viene adoperata di routine a scopo adiuvante, associata alla chemioterapia. Un trattamento radiochemioterapico inoltre, può essere eseguito pre-operatoriamente nelle neoplasie localmente avanzate per ridurne la massa e consentire al paziente di essere sottoposto all’intervento chirurgico. Recentemente, inoltre, il trattamento radiante neoadiuvante è stato esteso, spesso all’interno di studi clinici, anche a tumori resecabili fin dalla diagnosi, e/o per localizzazioni rettali basse, così da aumentare la resecabilità del tumore e consentire il salvataggio dello sfintere anale.

 

Chemioterapia adiuvante
La chemioterapia adiuvante è quel trattamento che viene somministrato dopo l’intervento chirurgico di asportazione radicale del tumore, al fine di ridurre il rischio che la malattia si ripresenti. Esistono diversi farmaci e nmerosi protocolli in funzione del tipo istologico e dello stadio. Il ruolo della chemioterapia adiuvante nello stadio B di Dukes, è più controverso, e deve essere ancora definito. Nel suddetto studio di De Gramont et al. è stata evidenziata una riduzione del rischio di ricaduta di malattia a 3 anni pari al 25% sia nei pazienti in stadio II che in stadio III che hanno ricevuto trattamento secondo schema FOLFOX. Terapia della malattia avanzata Nella gestione dei pazienti affetti da carcinoma del colon retto in fase metastatica sono state impiegate diverse modalità terapeutiche. La chemioterapia sistemica, la chemioterapia locoregionale, le terapie ablative, la chirurgia e la combinazione di tutti i trattamenti hanno un ruolo nella gestione di questi pazienti.