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Perchè scrivere su questo argomento?

Tutti i colleghi medici e chirurghi che si occupano in modo diretto, della gestione del soggetto ricoverato, stando a contatto con la persona da curare e con i relativi parenti, in un corretto rapporto tra medico e persona ricoverata, inteso ed orientato alla massima disponibilità nei loro confronti, il medico viene fatto oggetto, durante il ricovero, di richieste, domande, delucidazioni, confronti con altre pareri o ipotesi diagnostiche o terapeutiche relative alla malattia da curare o curata ed i suoi successivi passaggi terapeutici, se necessari. Una domanda su tutte, tra quelle poste, quella comunque più gettonata è cosa potrò mangiare?

Questa domanda viene proposta e riproposta sia durante l’immediato ricovero, durante la fase preoperatoria, il postoperatorio, sia al momento della dimissione, ma anche durante i controlli successivi ambulatoriali.

 

Perchè questo argomento viene trattato da un chirurgo e non da uno specialista di scienza dell’alimentazione?

Il primo fattore è che il rapporto quotidiano con la persona ricoverata nel reparto provoca lo stabilirsi di quel rapporto di fiducia necessario ed indispensabile tra medico e persona ricoverata, in difficoltà psicologica.

Il secondo è che purtroppo bisogna rilevare che tutti quei servizi che migliorerebbero la qualità del trattamento definitivo, mi riferisco ai servizi di fisioterapia e scienza dell’alimentazione, nutrizionisti, dietisti, etc etc. che per motivi tra i più vari risultano sotto dimensionati sia in personale che in strumentazioni, essendo carenti non possono supportare in modo sufficiente l’operato dei medici.

Il terzo fattore è che esistono poi diverse oggettive situazioni nelle quali si vivono le realtà ospedaliere, il giro visita, per esempio, durante il quale si decide, oltre a risolvere problematiche mediche/chirrgiche, se togliere o cambiare antibiotico, rimuovere sondino nasogastrico, i drenaggi, il catetere vescicale, se e cosa può mangiare il Signore Tizio. Questo giro di visita viene eseguito dai medici del reparto (nel nostro reparto da chirurghi) con alcuni componenti del personale sociosanitario.

 

Elementi di nutrizione. Lo stress.

È acquisizione comune che un’adeguata alimentazione sia necessaria per il mantenimento dello stato di salute, però per decenni la medicina ha accettato il digiuno nei soggetti traumatizzati, settici o reduci da interventi chirurgici. Questa pratica non solo non trova fondamento nella moderna scienza medica, ma è dimostrato essere una delle cause di malnutrizione proteico-calorica presente ancora oggi nei soggetti ospedalizzati.

A questo proposito è necessario prevedere l’instaurarsi di stati di malnutrizione prendendo in considerazione diversi concetti: che la malnutrizione si instaura nel soggetto malato dopo 3-5 giorni di digiuno; i danni subiti subiti dal soggetto (traumi facciali, incapacità di prensione, masticazione, deglutizione); il dolore in relazione all’evento; l’eccessiva perdita proteica (drenaggi peritoneali, ferite aperte o essudanti); gli esami di laboratorio (indicazione relative date da diminuzione di albumine, linfociti, etc. etc.).

Il concetto di stress (sforzo, tensione), fu introdotto dal canadese H. Seyle, per esprimere il conflitto tra uno stimolo aggressivo (es. trauma, chirurgia, dolore, sepsi) e la risposta dell’organismo. Con le sue ricerche ha dimostrato che il metabolismo del paziente sottoposto a stress, si modifica in modo radicale, rispetto a quello che accade durante il semplice digiuno. Si è notato infatti che nel caso dello stress l’organismo non reagisce con il risparmio energetico e con la conservazione delle scorte, come accade con il digiuno spontaneo, bensì ha come necessità prioritaria quella di compensare l’aumento delle richieste metaboliche derivanti dal trauma/chirurgia.

La risposta dell’organismo ad uno stimolo stressante viene tipicamente suddivisa in 3 fasi: 1. Fase di riflusso o di declino (in inglese ebb): appena dopo il trauma, caratterizzata da una depressione di tutte le attività vitali (metabolismo, temperatura, portata cardiaca). Viene associata allo stato di shock; 2. Fase di flusso (in inglese flow) caratterizzata dalla esaltazione delle funzioni vitali, dall’aumento delle richieste energetiche basali e da uno spiccato catabolismo proteico (fase catabolica). In questa fase si rende necessario l’intervento nutrizionale; 3. Infine, nella fase di guarigione si assiste ad un adattamento dell’organismo che riprende un corretto utilizzo dei substrati energetici (come nel digiuno semplice) e ripristina le riserve organiche (fase anabolica). Tutto questo avviene fondamentalmente per due situazioni sintetizzate nella tabella 1 e tabella 2.

L’adattamento allo stress è mediato fondamentalmente dall’ipofisi e dal surrene con liberazione di ormoni ad azione catabolica (per es. catecolamine). Adrenalina e noradrenalina stimolano a loro volta il rilascio di corticosteroidi e di glucagone al fine di mobilizzare substrati ossidabili (zuccheri) in risposta alle aumentate richieste energetiche. A questa situazione di aumentata richiesta energetica si accompagna però uno stato simil-diabetico con iperglicemia. L’aumento dell’insulina determina una riduzione della lipolisi. Gli zuccheri nonostante siano a disposizione non riescono ad essere utilizzati dal tessuto muscolare e dai tessuti in genere e non essendo disponibili i lipidi e loro derivati, le cellule per produrre energia si trovano costrette a mobilizzare l’unica fonte di energia utilizzabile: le proteine. Il catabolismo proteico risulta peraltro indispensabile nella fase di risposta allo stress in quanto la miscela di aminoacidi liberata in seguito alla proteolisi muscolare viene trasportata al fegato e utilizzata per la sintesi delle proteine della fase acuta (immunoglobuline, ormoni, fibrinogeno etc. etc.) e per la neoglucogenesi. In questo modo si viene a creare un circolo vizioso nel quale la demolizione proteica supera la capacità di sintesi dell’organismo. Il risultato netto di tutta questa situazione è un aumento del fabbisogno energetico basale ed un aumento dell’escrezione di urea urinaria (bilancio azotato negativo).

La durata e la gravità della fase acuta catabolica è in funzione di una serie di variabili che vengono qui di seguito riportate: tipo di trauma, gravità del trauma, associazione a dolore e shock, complicanze settiche, condizioni generali precedenti del soggetto (stato nutrizionale e malattie metaboliche), tipo di intervento terapeutico e nutrizionale sul soggetto ricoverato.

In sintesi estrema il soggetto ricoverato dovrà essere sottoposto ad una dieta (non intesa nell’accezione generale “ipocalorica”) capace di garantire un adeguato apporto sia qualitativo che quantitativo in nutrienti semplici o complessi per garantire il suo fabbisogno energetico.

Questo obiettivo, durante il ricovero e/o durante la fase acuta, può essere raggiunto con l’introduzione dell’alimentazione parenterale totale e/o con la nutrizione enterale.

Non è vero che se non si sentono rumori di peristalsi l’intestino non continua la sua azione di assorbimento. Studi (anche personali) riguardanti la nutrizione enterale precoce hanno dimostrato che una certa quantità di soluzione può essere somministrata ed accettata dall’individuo, senza comportare disturbi o sintomi, avendo viceversa un’azione di stimolo alla ripresa del movimento intestinale.

Ma di questo ci occupiamo noi quotidianamente nei singoli reparti, caso per caso.

Quello che vorrei ora, però, approfondire è la fase postoperatoria tardiva, quella che possiamo definire come quella dell’autogestione.

Per tali motivi sarà utile dare piccoli principi di corretta alimentazione in modo da non rendere più difficile la ripresa durante la convalescenza.

In questa fase sarà importante il reinserimento nel mondo familiare, in quello lavorativo ed in quello sociale.

 

Che cosa si intende con dieta postoperatoria?

La dieta è uno stile di vita in quanto il bisogno del cibo anche per quello che abbiamo visto in precedenza, è un bisogno primario ed irrinunciabile.

 

C’è bisogno di consigli generali?

Direi di no.

Ma comunque li fornisco per mio scrupolo. Masticare bene e a lungo il cibo, consumare i pasti ad orari regolari e cadenzati, preferire le cotture semplici, introdurre un alimento nuovo per volta, evitare cibi troppo caldi o troppo freddi, bere almeno 2 litri al giorno (nel periodo estivo aumentare la quantità).

Quali sono i nostri (quelli del medico e soprattutto del soggetto) obiettivi?

Gli obiettivi sono rappresentati dal raggiungimento del peso forma, mantenere costante il numero delle evacuazioni, cercare di rendere la consistenza del materiale fecale il più possibile poltacea (dovranno essere evitate difficoltose defecazioni con feci dure), cercare di limitare la quantità di gas, assumere il corretto quantitativo energetico, integrare sali minerali e vitamine.

Le indicazioni che verranno fornite non possono tener conto di problemi personali che riguardano le intolleranze alimentari, le allergie verso qualche alimento o sostanza alimentare. Per questi casi la persona dovrà cercare di utilizzare i consigli utilizzando alimenti alternativi a quelli consigliati. Inoltre un ulteriore consiglio è quello di consultare il proprio medico di famiglia, un nutrizionista o il proprio medico curante.

Intanto indichiamo quello che potrebbe creare qualche problema e che bisognerà evitare nell’immediato periodo postoperatorio e che potrà essere reintrodotto gradualmente nel periodo successivo.

Si consiglia pertanto di evitare cibi ricchi di scorie (asparagi, cipolle, funghi, pesce, uova, specie fritte, insaccati e salumi) perché inducono una maggior formazione di gas.

Questa dieta che prevede l’utilizzo di cibi liquidi e bevande fresche e genuine è pensata per quelle persone che hanno subito un’operazione chirurgica, in particolare agli organi dell’apparato gastrointestinale. Tuttavia un’alimentazione simile può essere idonea anche in seguito ad altri tipi di interventi, essendo prevalentemente a base di frutta, yogurt, patate, cereali, minestre, brodi vegetali, gelato, acqua.

Ecco quali sono i cibi da mangiare e bere in seguito ad un’operazione chirurgica: tutti i succhi di frutta; brodi, zuppe; burro, crema, olio, margarina; caffè leggero, thè; yogurt;  bevande alla frutta; miele, gelatina, sciroppo; latte, tutti i tipi, milkshake; budini; purea di patate in brodo; cereali cotti; piccole quantità di carne in brodo; gelato; limonate; frutta passata o grattuggiata;  succo di pomodoro; succhi di verdure e di frutta; acqua (meglio tra i pasti per non accelerare il transito intestinale).

Dopo circa tre settimane si può cominciare ad introdurre gradualmente, uno per volta, i vari cibi; altri cibi che provocano meteorismo come aglio, birra, bevande gassate, cavoli e cavolfiori, prugne, pesche, fichi, cachi, frutta secca, legumi, radici amare, rape, verdura cruda in genere e trippa; alimenti che possono provocare costipazione come noci e noccioline, vino rosso, cioccolata, grano, latte bollito, sedano, formaggi secchi, uva passa.

Qualora dovesse comparire la diarrea che fare?

In caso di diarrea è necessario aumentare l’introito di potassio. Non esagerare con i cibi troppo zuccherati. Non saltare i pasti perché quando l’intestino è vuoto vi è un aumento di gas. Preferire pasti piccoli e frequenti. Una volta al giorno non dovrebbero mancare il riso, le patate, la pasta. Altri alimenti in grado di rallentare il transito intestinale sono: carne bianca, pesce lesso, carote crude, banane e mele.